Pensiero libero: “A VENT’ANNI DAL G8 DI GENOVA”

Competenza, Passione e un cuore che batte a Destra.

Pensiero libero: “A VENT’ANNI DAL G8 DI GENOVA”

Il tempo scorre inesorabile: sono già trascorsi vent’anni dai fatti del luglio 2001, il G8 di Genova. Sentiamo la necessità di guardare a quegli eventi con la giusta distanza, senza rancori e giudizi inappellabili: semplicemente vogliamo fare, dal nostro punto di vista di genovesi e di militanti politici di destra, un po’ di chiarezza.

Chiunque abbia oggi almeno trent’anni, ricorda bene i giorni precedenti il vertice dei capi di Stato e di governo, la preparazione delle “zone” dai diversi colori, le gabbie che impedivano l’accesso alla cosiddetta zona rossa, quella più vicina agli appuntamenti dell’agenda dei grandi del mondo. Abbiamo anche a mente – l’abbiamo vista con i nostri occhi- l’inutile spettacolarizzazione di un metodo di direzione politica internazionale – adesso si chiama governance – che stava nascendo: il mondo della globalizzazione.

Ricordiamo i tanti divieti alla normale vita cittadina e poi i giorni fatidici, dal 19 al 22 luglio, le manifestazioni, l’arrivo di migliaia di persone da tutto il mondo – molte sostanzialmente pacifiche, altre violente con frange vicine al terrorismo di strada (Black Bloc e non solo), i cosiddetti antiglobalisti. Ecco la prima menzogna, la grande contraddizione che sottolineammo allora e ribadiamo oggi: non di nemici della globalizzazione si trattava, ma di marxisti, comunisti di tutte le risme, sedicenti progressisti, i cui obiettivi immediati erano il disordine, la confusione, la distruzione e quelli di fondo erano a reclamare un globalismo mondialista di segno diverso, collettivista, anarchico e comunista.

Il loro riferimento comune era il Forum di Porto Alegre del gennaio 2001, vertice dei globalisti “alternativi” di sinistra. Toni Negri, il professore padovano condannato per terrorismo, si sarebbe incaricato, negli anni successivi all’evento genovese, di teorizzare il mondialismo in salsa rossa in testi come Impero e Moltitudine.

Dovemmo assistere impotenti non solo all’assalto della zona rossa, ma alle devastazioni, alla violenza urbana, agli sfoghi più barbarici e insensati: ne fecero le spese le facciate dei palazzi, molti esercizi commerciali, l’arredo urbano, le automobili in sosta. Ci fu una vittima, un ragazzo genovese, Carlo Giuliani, colpito dal carabiniere ausiliario Placanica mentre andava all’assalto dei mezzi della Benemerita in Piazza Alimonda. Ci inchiniamo davanti alla morte di un ventenne, ma rifiutiamo fermamente di farne un eroe, come tentò per anni la sinistra, quella estrema e, in buona parte, quella istituzionale. Ci furono i fatti della scuola Diaz e della caserma di polizia di Bolzaneto; poi il lungo, tenace tentativo di trattare le forze dell’ordine da torturatori. Errori ed eccessi ci furono, ma vanno contestualizzati nell’ambito di una situazione eccezionale. Noi non condividiamo le conclusioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che Il 7 aprile 2015 sentenziò che a Bolzaneto e alla scuola Diaz era stata praticata la tortura.

Abbiamo tutti ancora negli occhi la violenza feroce di troppi, italiani e stranieri, il sacco della città, l’evidenza che le azioni erano state lungamente e minuziosamente preparate con perizia militare da una regia internazionale di alto livello. Chi semina vento raccoglie tempesta e, a distanza di vent’anni, noi ringraziamo chi protesse i genovesi, le loro case, i loro beni, le loro attività da manifestanti teppisti il cui compito non era quello di impedire il vertice, ma di rendere Genova un inferno.

Non è questa la sede per discutere della globalizzazione, della governance mondiale e degli effetti concreti di vertici come il G8 del 2001. Tuttavia, non possiamo tacere e vogliamo ribadire le impressioni di allora.

La scelta di Genova fu fatta dal governo di sinistra, il cui destino elettorale era segnato da almeno un anno. Nel 2001, infatti, il centrodestra vinse le elezioni, il primo governo organico di centrodestra, dopo l’esperimento del 1994 interrotto dal voltafaccia di Bossi e dalla manovre di palazzo di Scalfaro. Eravamo e restiamo convinti che la scelta di Genova – città tradizionalmente di sinistra, teatro di manifestazioni operaie per decenni, oggetto di ogni retorica sinistra e resistenziale, protagonista della rivolta contro il governo Tambroni del giugno 1960 –  sia stata una polpetta avvelenata, una trappola cosciente del governo uscente a quello entrante. Di spallate di piazza a sinistra sono maestri e interessava dare, da Genova, un segnale di inefficienza governativa, di mancanza di controllo del territorio per azzoppare il governo Berlusconi, il cui ministro dell’Interno era il ligure Scajola.

L’obiettivo fu in parte conseguito: i disordini ci furono, gli errori di valutazione e di reazione anche, strascichi polemici e giudiziari e disgraziatamente una vittima, a cui vogliamo aggiungere il carabiniere che gli sparò, oggetto per anni di una disgustosa campagna di odio per essersi difeso nell’esercizio del dovere. Tuttavia, con il senno di poi, siamo convinti, a vent’anni di distanza, che la strategia della sinistra politica, mediatica e culturale inaugurata a Genova sia fallita. Dal 2001, da quei giorni, fu chiaro a tutti – in particolare al mitizzato “popolo di sinistra” – che gli estremisti, i sovreccitati (e i loro interessati difensori e mandanti) erano soltanto dei violenti, dei prevaricatori e dei distruttori. Era la città e la vita della gente comune che veniva attaccata, le sue case, i suoi commerci, la sua normalità.

In nome di che cosa, poi? Di un’idea sconfitta clamorosamente dieci anni prima, che aveva dimostrato di non risolvere i problemi della gente e di distruggere le libertà. Per la prima volta nel 2001 si è visto uno scollamento, una crepa nel muro sino ad allora infrangibile della sinistra politica e della sua gente. La fenditura si è allargata nel tempo e oggi la sedicente sinistra ha abbandonato i ceti popolari per rifugiarsi nella borghesia ricca, nei ceti garantiti, nelle burocrazie, nella promozione dell’immigrazione di massa.

Genova 2001 ne è stata il primo simbolo: manifestanti di molti paesi, in genere rampolli benestanti, contro polizia e forze dell’ordine figli del popolo – lo capì per primo negli anni Settanta del Novecento Pier Paolo Pasolini- e soprattutto contro la gente comune, i cittadini interessati alla tranquillità, al lavoro, danneggiati, impediti nella mobilità, a cui è stata distrutta l’automobile o la moto, lordati i portoni, vandalizzati i commerci. Perché? Davvero per impedire a Bush e agli altri “grandi” del mondo di prendere decisioni, o piuttosto per dimostrare capacità di mobilitazione, volontà precisa di occupare le piazze, prova generale della possibile spallata contro un governo legittimo frutto di quella democrazia che dicevano di difendere? 

Sarebbe istruttivo indagare sulle complicità politiche, istituzionali e internazionali dei violenti del G8. Lasciamo il compito agli storici e ci limitiamo al ricordo. I violenti sono stati sconfitti, bene o male. I loro amici – e i loro “danti causa” – non godono più del favore indiscusso dell’ex popolo di sinistra, Genova ha recuperato e non è più il bastione dei nipoti del 30 giugno e dei protagonisti del G8.

Il povero Carlo Giuliani, “martire” involontario ed improbabile, è morto invano, vittima di una situazione tanto più grande di un ragazzo difficile di vent’anni. Una preghiera per lui, un grazie a chi ha difeso Genova in divisa, grazie a noi, noi genovesi, per non esserci lasciati ingannare. La globalizzazione, questo sì, purtroppo ha vinto. Ma è un’altra storia: ne parleremo a parte.