Guerra e sovranità energetica

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Guerra e sovranità energetica

Tempo di guerra, tempo di dolore e anche di restrizioni. Le più gravi, a casa nostra, sono quelle legate all’energia. Già da molti mesi il costo della bolletta energetica delle famiglie e delle imprese è schizzato alle stelle.  Adesso, con la guerra, la mazzata, che non si limiterà al gas, all’elettricità e ai prodotti energetici, per i quali siamo fortemente dipendenti dall’estero, in particolare dalle forniture russe di gas naturale. Soffriremo presto il rincaro del pane e della pasta, poiché grano e frumento provengono in buona parte da Russia ed Ucraina. Si pone con tutta l’urgenza della realtà il problema della sovranità energetica, ossia la capacità di una nazione – che è anche un sistema industriale – di non dipendere dalla volontà e dagli interessi altrui.

L’Italia del dopoguerra, con la difficile, esaltante ricostruzione dopo le distruzioni della guerra, ebbe un grande protagonista, Enrico Mattei, il presidente dell’ENI, Ente Nazionale Idrocarburi, un grande italiano. Mattei riuscì a fare dell’ENI un colosso mondiale, contendendo alle “Sette Sorelle “del petrolio il primato nella capacità di approvvigionarsi, trovare nuovi giacimenti e metterli a disposizione a prezzi ragionevoli. Sappiamo la fine che fece: il suo aereo fu abbattuto nel 1962 da servizi segreti stranieri o da soggetti al servizio dei potentati privati internazionali cui si era opposto con successo.

Da allora, la politica energetica ha segnato il passo: abbandonate o quasi le ricerche in Italia, chiusi gli impianti estrattivi della val Padana, dismesse le aree carbonifere sarde. Eravamo all’avanguardia nelle ricerche sull’energia nucleare, ma scelte improvvide degli anni Ottanta – avallate da un referendum- hanno fatto abbandonare l’energia dell’atomo. Siamo diventati importatori di energia prodotta da centrali atomiche estere, francesi e persino slovene, prossime al nostro territorio. Prevalse la paura. Il dramma è che da allora non abbiamo più avuto alcuna politica energetica.

La stessa ENI, lungi dall’essere aiutata dalle istituzioni, ha dovuto subire un lungo processo per presunte tangenti legate al petrolio nigeriano. Assoluzione per tutti, una figura pessima per la magistratura italiana e purtroppo un enorme danno alla nazione. Ora la guerra.

Una nazione industriale deve possedere una politica energetica di lungo periodo. L’ Italia ha accumulato ritardi storici i cui nodi vengono al pettine. All’inizio degli anni Duemila i governi di centrodestra riuscirono a stipulare vantaggiosi contratti con la Russia di Putin e con la Libia di Gheddafi. Nel primo caso, i venti di guerra e le sanzioni stanno cancellando quei risultati. Nel secondo, l’intervento armato di alcune potenze europee nello scenario libico ha prodotto guerre sanguinose, grave instabilità che è ripercossa sull’assalto migratorio alle nostre caso e l’uccisione del Raìs libico, con drammatiche conseguenze anche sulla nostra politica energetica. L’Eni, peraltro, è al centro delle ricerche che hanno portato alla scoperta di ingenti giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale, ancora non sfruttati.

La realtà è che l’Italia ha necessità di diversificare le fonti energetiche, ripensando all’energia nucleare di ultima generazione, insistendo sulla ricerca nelle fonti “pulite “(solare, eolico, idroelettrica, mareomotrice, geotermico eccetera) e intanto deve superare le resistenze di una parte significativa della politica e dell’opinione pubblica circa l’estrazione di petrolio in Basilicata e di gas nel Mare Adriatico. Sappiamo che ancora per decenni i combustibili di origine fossile saranno decisivi: non possiamo stare a guardare mentre le nostre aziende hanno fame di energia e le famiglie pagano sempre più care le bollette domestiche.

Non abbiamo speranza di autosufficienza energetica, dobbiamo quindi investire al massimo sulle risorse che abbiamo, sapendo che le energie “pulite” potranno integrare la domanda, alleggerire la fattura energetica del sistema-Italia, ma non prendere il posto degli idrocarburi. In più, l’Italia deve investire sulla ricerca scientifica. Più complesso il discorso geopolitico. L’attuale conflitto russo-ucraino ha varie ragioni, ma sullo sfondo vi è il gasdotto sottomarino North Stream 2, in grado di trasferire ingentissime quantità di gas naturale dalla Russia verso Germania e Europa Occidentale. In più, gli Stati Uniti hanno interesse a sostituire la Russia come fornitrice energetica, vendendo il suo GNL (gas naturale liquefatto). Tale prodotto, estratto con la discutibile ed ecologicamente devastante tecnica del “fracking” (frantumazione idraulica dei terreni) ha tuttavia costi industriali elevatissimi e richiede la liquefazione del prodotto grezzo a centossessanta gradi sotto zero e la successiva rigassificazione.

Costi ed investimenti esorbitanti, pericoli per l’ambiente. Tutto ciò sullo sfondo dell’eterna instabilità del Medio Oriente da cui proviene il petrolio greggio. Insomma, un quadro a tinte fosche, per il quale non bastano, da parte del governo italiano, i modesti interventi-tampone in agenda. La mannaia fiscale, per di più, si abbatte sull’intera filiera energetica provocando effetti moltiplicatori che stanno gettando fuori mercato interi comparti economici e rendendo prodotti di lusso beni di prima necessità come l’energia elettrica e il gas per uso domestico.

Buone prassi, ma non risolutive, possono essere quelle suggerite da Serge Latouche: ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Con rivalutare e ricontestualizzare, sono le famose “otto erre” della cosiddetta decrescita felice. Aiutano, decolonizzano l’immaginario del consumo, ma non bastano, non sono la soluzione di fondo.

Nessuno ha la ricetta magica per uscire dalla crisi, al di là del fosco quadro di guerra. Serve un bagno di concretezza: mettere al bando paure irrazionali, obiezioni insostenibili allo sfruttamento di ciò che abbiamo (che non è poco, alla fine) sostegno all’azione dell’ENI e degli attori energici italiani, una diversa politica fiscale, diversificazione delle fonti e dei fornitori.

Naturalmente, vi è un’alternativa, che deve essere prospettata con sincerità agli italiani: continuare a baloccarci con le nostre fisime, mettendo però in conto sacrifici immensi che cambieranno il nostro modello di vita. Infine, possiamo rassegnarci al regresso, puntando sull’improbabile successo di fonti energetiche marginali.  Il risultato sarà la rapida fuoriuscita dell’Italia dal novero delle nazioni industriali e la diminuzione del benessere generale. In una parola, la “decrescita infelice”. 

Non la vogliamo, è il contrario del progetto che dobbiamo offrire agli italiani, a cui, finalmente, bisogna dire la verità. I tempi sono duri e potranno peggiorare. Bisogna attrezzarsi, anche culturalmente, e chiederci una volta per tutte qual è il futuro che vogliamo per noi e i nostri figli. Dalle scelte di politica energetica, dalla sovranità che dobbiamo perseguire anche in questo campo, dipende il nostro futuro comune.